Skip to content

Giornata del rifugiato? Nulla da festeggiare

Corteo dei migranti di Sicignano a Salerno, luglio 2016

Nelle strutture di accoglienza della provincia di Salerno sono presenti circa 3000 persone. Nel 2015, solo al 18,8% dei/delle richiedenti asilo è stata riconosciuta una forma di protezione (status di rifugiato, protezione umanitaria o sussidiaria) da parte della Commissione che ha sede a Salerno. Nel 2016, circa al 25%. La commissione di Salerno è una delle più severe a livello nazionale.

Dopo due/tre anni di permanenza in pessimi centri di accoglienza, in attesa di una risposta, svolgendo lavori gratuiti per i Comuni e lavori sottopagati nelle campagne, la maggioranza delle persone “accolte” viene sbattuta per strada, senza documenti, senza risorse, senza punti di riferimento, alla mercè dello sfruttamento più selvaggio, con la paura costante dei controlli delle forze dell’ordine che possono recluderle in un CIE/CPR e deportarle.

Contro tutto questo le persone migranti segregate nel limbo degli SPRAR e dei CAS in provincia di Salerno hanno protestato occupando i centri, scendendo in strada, facendo presìdi e cortei, chiedendo risposte alle autorità, a Palinuro, Sicignano, Battipaglia, Sarno, Salerno, Capaccio, Eboli, Roscigno, Polla, Caggiano, Orria etc.; hanno lottato, da sole, e pagato la ricerca di una vita migliore a caro prezzo, con minacce, denunce, trattamenti sanitari obbligatori, espulsione dai centri di accoglienza, carcere. Centinaia e centinaia di persone sono state costrette a vivere ai margini, nascoste, a essere sfruttate per pochi euro al giorno, a dormire per strada o in alloggi di fortuna.

La più recente protesta è avvenuta proprio l’altro ieri 19 giugno, a Sicignano, dove da anni vanno avanti le mobilitazioni dei migranti: “Sono 67 gli stranieri ospitati nel centro di Varamanna, nella frazione Galdo, provenienti in massima parte da Niger, Senegal e Pakistan. La struttura dove alloggiano è un container ex cantiere della A3 e si trova in una zona isolata, distante dal centro e dalle fermate dei bus. ‘Non possiamo dialogare con gli abitanti, non possiamo imparare la lingua’ dicono, esponendo un cartello con la scritta ‘Campo is not good’ [i centri di accoglienza sono chiamati “campi” dai migranti]. I migranti hanno chiuso i cancelli del centro ed è stato necessario l’intervento dei carabinieri e degli operatori della struttura per sedare gli animi.”

Lo scorso anno un folto gruppo dei 300 migranti che vivono a Sicignano aveva raggiunto Salerno per fare un corteo dalla Stazione alla Prefettura, descrivendo così le loro condizioni di vita: “Siamo qui da due anni, non abbiamo avuto i nostri documenti, nessuno sa cosa succede, ognuno di noi ha fatto ricorso almeno due volte. Nel campo dove siamo, tre persone hanno avuto incidenti, uno è morto, nessuno sa cosa è successo, un altro ha perso i denti, un altro è ancora in ospedale, siamo stanchi, vogliamo aiuto, vogliamo sapere se possiamo avere i nostri documenti o no. Persone vengono al centro per prendere il nostro lavoro, 5 euro al giorno, per tutta la giornata, perché con il solo permesso di 6 mesi e senza documenti nessuno vuole prenderci al lavoro. La prefettura non ha detto niente, da due anni stiamo aspettando”


Questi sono solo alcuni degli aspetti estremamente problematici del sistema di “accoglienza” messo in piedi dallo stato italiano nell’ambito della chiusura delle frontiere della “fortezza Europa”. È fondamentale schierarsi dalla parte delle rivendicazioni dei/delle migranti e disertare questo sistema che non consente alle persone di potersi muovere liberamente, soddisfare i propri bisogni e realizzare i propri desideri.

C’è poco da analizzare o dibattere: o riusciamo ad affiancarci alle loro lotte quotidiane per la libertà di movimento e per documenti per tutt*, e costruiamo allenze per rivendicare case, lavoro/reddito, servizi pubblici per tutti e tutte, senza distinzioni di provenienza, o ci limitiamo all’indifferenza o a contribuire a questo sistema di gestione della vita delle persone che produce apartheid ed emarginazione, gettandoci tutt* nella barbarie.

 

Non esiste la rivoluzione infelice

Presentazione del libro “Non esiste la rivoluzione infelice-Il comunismo della destituzione” della casa editrice DeriveApprodi e dibattito con l’autore, Marcello Tarì.

Giovedì 22 giugno 2017 – ore 20
Salerno – Porticciolo di Pastena

A cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, a fronte della crisi di civiltà che traversa il mondo, è ancora possibile pensare, e progettare, il comunismo? Sì, dice l’autore di questo libro, a condizione però di ripensare radicalmente la tradizione dei movimenti rivoluzionari che si sono succeduti nell’ultimo secolo.
E la prima domanda a base di questo ripensamento non è quella del come costituire giuridicamente un nuovo ordine delle cose, ma come destituire – a livello giuridico, etico ed esistenziale – il presente, questo nostro presente che si presenta come «un cubetto di ghiaccio nel quale è contenuto il passato che non passa e il futuro che non viene».

Questo testo si confronta da un lato con i momenti rivoluzionari vissuti negli ultimi anni – dall’insorgenza argentina del 2001 a Occupy Wall Street negli stati Uniti, dagli Indignados spagnoli alla rivolta contro la loi travail in Francia, dalla Val di Susa alle primavere arabe – cercando di afferrarne i contenuti inediti e dirompenti e, dall’altro, inserendosi lungo una discontinua e frammentaria linea teorica che corre da Walter Benjamin a Giorgio Agamben, cercando di mettere in luce il significato fecondo di una potenza destituente il cui nuovo motto è: «Chiamiamo comunismo il movimento reale che destituisce lo stato di cose presenti».

La guerra civile e l’amore, l’architettura bolscevica degli anni Venti e la spiritualità militante, i divenire rivoluzionari e la quotidianità, la solitudine e la festa, la felicità e l’assenza di speranza, sono tra gli indici di questa ricerca.

La violenza silenziosa delle Istituzioni contro gli/le ambulanti a Salerno.

La violenza silenziosa delle Istituzioni contro gli/le ambulanti a Salerno.

Dopo una coraggiosa e partecipata manifestazione che ha visto scendere in strada, l’8 maggio scorso, le intere comunità del Senegal e del Bangladesh e qualche decina di solidali, l’unico approccio delle varie istituzioni locali rispetto ai bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori ambulanti continua ad essere la repressione. Da settimane ormai, in seguito alle decisioni prese durante il Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza del 27 aprile, richiesto espressamente al Prefetto dal Sindaco di Salerno Vincenzo Napoli, pattuglie interforze di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia Municipale, compresi agenti in borghese, percorrono e controllano il lungomare, soprattutto nei fine settimana, impedendo agli/alle ambulanti di lavorare, sequestrando merci, elevando multe e verbali.
Questa strategia di intervento “preventivo”, che sembra voler proprio letteralmente condurre alla fame e alla disperazione centinaia di persone che stanno perdendo la loro unica fonte di sostentamento, era stata pubblicamente illustrata dal Sindaco il 28 aprile, durante la consueta intervista in onda su Radio Alfa.
Ecco la trascrizione di quanto detto:

-Vincenzo Napoli, Sindaco di Salerno: “Per quanto riguarda il contenimento dell’abusivismo commerciale stiamo lavorando attivamente. Già la scorsa settimana i nostri vigili urbani insieme con altre forze di polizia hanno tenuto sotto controllo il lungomare, però ora con l’incontro che abbiamo avuto col prefetto abbiamo posto sul tappeto anche questo aspetto della tenuta del territorio per quanto riguarda il fenomeno dei venditori abusivi e il Prefetto e il Questore ci hanno garantito una piena collaborazione.”

-Giornalista: “Quindi diciamo che anche in questo caso ci sarà una sinergia interforze. Però adesso con l’intervento di altre forze dell’ordine riteniamo…”

-Sindaco: “È un sollievo. La situazione da gestire è complessa, nel senso che abbiamo una massa tale di persone, di abusivi e quant’altro che diventa quasi un cimento “militare”, e poi bisogna essere assolutamente cauti perché bisogna evitare disordini, difficoltà. Fare uno sgombero per esempio di un abusivo sul corso, con il corso pieno di gente, può essere addirittura controproducente, e allora noi dovviamo prevenire, come stiamo facendo, per evitare che loro impiantino proprio la loro mercanzia. E quindi bisogna fare in modo che non si va dopo ( a sgomberare), (ma) si evita che questi (si insedino). Però capisce, tra lungomare, centro, e altre location diventa complicato, ma pare che ce la stiamo facendo.”

Ed è purtroppo vero, ce la stanno facendo. Stanno militarizzando nell’indifferenza dei più una zona della città. Stanno minacciando e spaventando chi da anni viveva di ambulantato. Stanno impoverendo centinaia di persone che non riescono più a pagare l’affitto e le bollette, le spese per il cibo e per le esigenze dei figli. In mancanza di luoghi adatti e alternativi dove poter lavorare senza essere perseguitati, tanti stanno pensando anche di lasciare la città.

L’intimidazione e la repressione non avviene soltanto lungo le strade ma nelle ultime settimane si è estesa anche nelle abitazioni in cui vivono gli ambulanti, e ultimamente si accanisce soprattutto contro la comunità bengalese. Il 17 maggio è avvenuto un primo blitz: la polizia municipale dalle 6 del mattino fino a oltre mezzogiorno ha controllato gli appartamenti del centro storico dove vivono gli immigrati bengalesi. Un secondo controllo ha avuto luogo il 25 maggio: i vigili urbani del nucleo operativo, “su ordine del sindaco Enzo Napoli” hanno controllato vari appartamenti. Un bengalese affittuario di un appartamento, “è stato denunciato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in quanto uno degli extracomunitari che vivevano nel locale del centro antico era privo di permesso di soggiorno”. Il Mattino scrive di “indagini a tappeto nel centro storico”, “al via ispezioni porta a porta per colpire inquilini abusivi e proprietari di appartamento che autorizzano soggiorni illegali”, “i controlli sono disposti anche a tutela del decoro urbano e della sicurezza in città, dove non accenna a diminuire il fenomeno dell’accattonaggio selvaggio e dell’ambulantato abusivo sul Lungomare Trieste”.

Blitz, controlli, ispezioni, abusivi, illegali, decoro, sicurezza: con queste parole nell’articolo citato si giustifica la repressione per rendere la vita impossibile alle persone migranti presenti in città.

Le conseguenze sulle vite delle persone di quanto sta avvenendo le raccontano alcuni degli ambulanti bengalesi:

“Non c’è più lavoro. Ora la guardia di finanza i vigili controllano il lungomare per l’intera giornata. Mi hanno sequestrato la merce, fatto una multa, e non ho i 300 euro necessari a ricomprarla. Sono venuti a controllare le case dove viviamo. Prima guadagnavo 500/600 euro al mese, ora non riesco nemmeno a coprire le mie spese mensili che tra affitto, cibo e ricarica telefonica per poter sentire la mia famiglia, ammontano a 300 euro mensili”.

“Ho subito tre multe in pochi giorni, non si riesce più a lavorare per strada, sono venuti a controllarci anche nelle case, denunciandoci perché davamo una mano a un connazionale arrivato da poco che ancora deve presentare domanda di asilo, ospitandolo in casa e sfamandolo dopo due giorni di digiuno; ci costringono ad avere paura ad essere solidali con le persone in difficoltà; vivo a Salerno da dieci anni ma mi stanno costringendo ad andare via con le lacrime agli occhi da questa città dove avevo costruito tante buone relazioni e ho tanti amici, e provare a ricominciare da zero altrove.”

Vogliamo una città sempre più ostile e militarizzata contro una parte della sua popolazione? Una città che continua ad espellere chi, nativ* o immigrat* che sia, non è benestante? Vogliamo assistere indifferenti a retate nelle strade e nelle case che ricordano tempi bui? O vogliamo squarciare questo clima di paura e di isolamento provando a organizzarci per resistere a tutto questo?
STOP RETATE, SEQUESTRI E SGOMBERI!

Stop retate, sequestri e sgomberi!

Ci-après traduction français – English version below

Stop retate, sequestri e sgomberi!

A Roma il 3 maggio, durante una retata, la polizia municipale ha ucciso il lavoratore ambulante senegalese Maguette Niang. Negli ultimi giorni c’è stata un’escalation di pesanti interventi polizieschi in tutta Italia, da Napoli a Milano, da Foggia a Roma. Rastrellamenti etnici nelle stazioni di diverse città, con persone fermate e portate nelle questure in attesa di essere recluse nei CIE/CPR e deportate nei loro paesi di origine. A Napoli mille abitanti del campo rom di Gianturco sgomberati e dispersi dalla polizia municipale: tra loro 160 persone sono state segregate in un ghetto recintato e controllato dalla polizia e assediato da fascist* che già in passato avevano attaccato i Rom a Ponticelli.

Anche a Salerno l’amministrazione comunale, con l’appoggio delle opposizioni, prosegue indisturbata la repressione sul lungomare cittadino e il tentativo di allontanamento dal centro della città di tutt* le/i lavoratrici/lavoratori ambulanti, nativ* e immigrat*, all’insegna dell’ideologia del “decoro” e del rispetto della legalità, applicato solo contro le fasce sociali rese sempre più povere.

Questa situazione, che va avanti da anni, con una forte repressione attuata sia dal governo che dalle giunte locali di qualsiasi colore politico, si è aggravata in seguito alla promulgazione della legge Orlando-Minniti, che prevede un restringimento globale della presenza delle/dei migrant* sul suolo italiano, eliminando il ricorso in appello in caso di respingimento della richiesta della domanda di asilo e di fatto consegnando all’arbitrio delle retate poliziesche chiunque non sia in possesso del permesso di soggiorno e del tanto agognato status di rifugiat* politic*.

Siamo contro la criminalizzazione di chi, non avendo alternative praticabili, lavora nelle strade come ambulante. Non accettiamo che un problema sociale diventi una questione di ordine pubblico. Ci opponiamo a sgomberi, rastrellamenti e sequestri delle merci. Siamo contro retate, CIE/CPR, deportazioni. Non facciamo distinzioni tra autocton* e stranier*, tra chi ha un permesso di soggiorno e chi è considerato irregolare, tra chi ha licenza di ambulante e chi no, tra chi vende merci definite contraffatte e chi no. Siamo contro la pianificazione di quartieri vetrina per persone benestanti e turist*, e quartieri ghetto per emarginat* e lavoratrici/lavoratori. Contrastiamo chiunque, a partire dai politicanti (vecchi e nuovi), cavalca il razzismo, la xenofobia e il classismo, e invoca repressione contro ampie fasce di popolazione in difficoltà economica (senzatetto, rom, migranti, precar*, disoccupat*, ambulanti, sex workers, etc.).

L’unica scelta di campo che ci sentiamo di fare è con chi è disposto a lottare per “tutto per tutt*” e siamo contro chi invece vuole continuare a vivere il proprio privilegio e benessere basato sullo sfruttamento e l’emarginazione di tant* altr*.

Organizziamoci e lottiamo insieme!

Laboratoria indecorosa

——————————————————————————————————————————————

Stop rafles, enlèvements et évacuations!

À Rome le 3 mai, pendant une rafle, la police municipale a tué le travailleur itinérant sénégalais Maguette Niang. Ces derniers jours il a y eu une escalade de lourdes interventions policières dans toute l’Italie, de Napoli à Milano, de Foggia à Roma. Ratissages ethniques dans les gares de différentes villes, avec des personnes appréhendées et emmenées vers les préfectures de police dans l’attente d’être emprisonnées dans les CIE/CPR et déportées vers leurs pays d’origine. À Napoli, 1000 habitants du camp de Roms de Gianturco évacués et dispersés par la police municipale; entre eux, 160 personnes ont été ségréguées dans un ghetto clôturé et surveillé par la police et assiégé par les fascistes qui, déjà dans le passé, avaient attaché les Roms à Ponticelli.

Même à Salerne, la municipalité avec le soutien des oppositions, se poursuit sans relâche la répression sur la promenade de la ville et la tentative d’éloignement du centre de la ville de tous les travailleurs / travailleuses itinérants, natifs/ves et immigré(e)s, sous le signe de l’idéologie du “décorum” et du respect de la légalité, appliquée juste contre les groupes sociaux rendus pauvres de plus en plus.

Cette situation, qui dure depuis des années, avec une forte répression mise en oeuvre soit par le gouvernement que les conseils locaux, n’importe quelle couleur politique, s’est aggravée à la suite de la promulgation de la loi Orlando-Minniti, qui prévoit un rétrécissement global de la présence des migrant(e)s sur le sol italien, en éliminant le recours en appel en cas de rejet de la demande d’asile et, en fait, en remettant à l’arbitraire des rafles policières quiconque ne soit pas en possession d’un permis de séjour et du convoité statut de réfugié(e) politique.

Nous sommes contre la criminalisation de ceux qui, en n’ayant pas alternatives praticables, travaillent dans les rues comme ambulants. Nous n’acceptons pas qu’un problème social devienne un problème d’ordre public. Nous nous opposons à évacuations, ratissages et saisies de marchandises. Nous sommes contre rafles, CIE/CPR, déportations. Nous ne faisons aucune distinction entre indigènes et étranger(e)s, entre ceux qui ont un permis de séjour et ceux qui sont considéré(e)s irrégulier(e)s, entre ceux qui ont le permis de commerce ambulant et qui non, entre ceux qui vendent marchandises définies contrefaites et qui non. Nous sommes contre l’aménagement de quartiers vitrine pour gens aisés et touristes, et quartiers ghetto pour exclu(e)s et travailleuses/travailleurs. Nous luttons contre quiconque, à partir de les politiciens vieux et nouveaux, chevauche le racisme, la xénophobie et le classisme, et réclame la répression contre larges catégories de population en difficulté économique (sans-abri, Roms, migrants, précaires, chômeur(e)s, ambulants, travailleuses du sexe, etc.).

Le seul choix de champ que nous pouvons faire il est avec ceux qui sont disposés à lutter pour “tout pour tous” et nous sommes contre ceux qui veulent par contre continuer à vivre leur propre privilège et bien-être fondé sur l’exploitation et la marginalisation de beaucoup d’autres.

Organisons-nous et nous luttons ensemble!

——————————————————————————————————————————-
Stop raids, seizures, evictions

In Rome on 3 May, during a shootout, the municipal police has killed senegalese worker Maguette Niang.

In the last few days there has been an escalation of heavy interventions by police across Italy, from Naples to Milan, from Foggia to Rome. Ethnic cleasing in stations of different cities, with people taken to the police headquarters waiting to be detained in CIE/CPR and deported to their countries of origin. In Naples a thousand inhabitants of the Roma camp of Gianturco were cleansed and dispersed by the municipal police; 160 inmates in a ghetto, fenced and controlled by the police and besieged by fascists who had already attacked the Roma at Ponticelli in the past.

Even in Salerno the municipal administration, with the support of the opposition, goes on undisturbed the repression on the city’s seafront and try to distancing from the center of the city all the workers, natives and immigrants, in the name of ideology of “decorum” and respect for the law, applied only against the increasingly poorer social groups.

This situation, which has been going on for years, with a strong repression carried out in both the government and by local councils of any political color, has worsened following the promulgation of the law Orlando-Minniti, which foresees a general narrowing of the presence of migrants on Italian soil, eliminating the appeal in case of rejection of the request of the asylum claim and, in fact, delivering to the arbitration/agency of police raids anyone who does not possess the residence permit and the coveted status of a political refugee.

We are against the crimination of those who, having no viable alternatives, work in the streets as a walker.

We do not accept that a social problem becomes a matter of public order, a manhunt carried out by the various forces of order. We oppose any evictions, roundups and seizures of goods. We are against the roundups, CIE/CPR, deportations. We do not distinguish between natives and foreigners, between those who have a residence permit and who is considered to be irregular, between those who have a pedestrian license and who does not, between who sells goods as defined counterfeit and who is not. We are against the planning of showcase neighborhoods for wealthy and tourists, and ghetto for marginalized and workers. We oppose to anyone, starting with old and new politicians, rides on racism, xenophobia and classism, and invokes the repression of large segments of people in economic difficulty (homeless, Roma, migrants, precarious, unemployed, ambulant, sex workers, etc .).

The only choice we make is with those who are willing to fight for “everything for everyone” against those who want to continue to live their own privileges and economic wellbeing based on the exploitation and marginalization of so many others.

 

Let’s organize and fight together!

Lettera aperta agli/alle antirazzist*. Mettiamo noi il #fiatosulcollo su fascist* e razzist*

 

Come antirazzist* e solidali abbiamo portato la nostra solidarietà agli/alle migranti che vengono attaccat* quotidianamente dall’amministrazione comunale, che ha sgomberato ingiustamente gli ambulanti da piazza della Concordia e non ha dato loro nessuna alternativa concreta, così come ci opponiamo all’aumento del clima repressivo imposto dal governo con la legge Orlando-Minniti. Dopo le retate e l’arresto di un senegalese qualche giorno fa (per fortuna sembra senza conseguenze), il blitz repressivo sul lungomare nel pomeriggio del 25 aprile, ieri 26 aprile il sindaco sui media ha chiesto al Prefetto la convocazione del comitato per l’ordine e la sicurezza, esprimendo queste gravissime affermazioni: “per trattare l’invasione dei venditori abusivi sul lungomare,[…] abbiamo nel problema della globalizzazione masse sterminate che occupano la nostra città, ma noi difendiamo nel migliore dei modi il nostro decoro urbano”. La politica salernitana vuole insomma trattare un problema sociale come un problema di sicurezza e ordine pubblico.

Oltre all’amministrazione, sulla stessa linea è da tempo schierata la destra cittadina, come al suo solito. E come se ciò non bastasse, si aggiunge anche il resto dell’opposizione. Se le posizioni di tutti costoro non ci sorprendono perchè le conosciamo da tempo, e sono conosciute da tutt*, ci preoccupa invece un’altra presa di posizione contro i/le lavoratori ambulanti. Ci indignano infatti le dichiarazioni del consigliere comunale Dante Santoro riguardo la questione degli spazi per gli ambulanti così come per le sue azioni volte a far rispettare la legge del più forte in città: come se non fosse stato sufficiente il ventennio deluchiano e la primogenitura della nefasta invenzione del “Sindaco Sceriffo”, a Salerno ora abbiamo gli sceriffi anche tra i politici dell’opposizione. Santoro ha infatti dichiarato: “Successivamente al nostro intervento con l’iniziativa Open Comune, con la quale abbiamo verificato e segnalato l’abusivismo incontrollato, c’è stata un’impegnativa operazione della polizia municipale per il contrasto del fenomeno. Questo è solo l’inizio – ha sottolineato – ora continueremo a mettere il nostro #fiatosulcollo sulla questione finché servirà». Poi il consigliere di Giovani salernitani ha lanciato la sua nuova iniziativa: «Creeremo con i cittadini il Comitato per la legalità, un gruppo di segnalazione e denuncia al servizio della città per sopperire alle mancanze di quest’amministrazione dormiente».

Il consigliere comunale il 23 aprile addirittura si è permesso di girare sul lungomare, telecamera al seguito, e pubblicizzare in diretta le sue minacce ad un ambulante: “Tu qui non ci devi stare”.

Siamo anche a conoscenza di come Dante Santoro si stia accreditando nell’ambito della sinistra cittadina, stringendo rapporti con il movimento di De Magistris e dialogando con centri sociali e movimenti dei disoccupati. Vogliamo allora portare a conoscenza di tutt* come le iniziative legalitarie di Santoro siano dannose e pericolose per le persone in difficoltà economica nella nostra città e alimentino il razzismo e la discriminazione, criminalizzando la povertà e lasciando i/le migranti alla mercé della repressione poliziesca. La situazione in città sta degenerando, le pulsioni fasciste e xenofobe vengono alimentate ogni giorno dalla giunta di “centrosinistra” e dalla legge Orlando-Minniti del governo Gentiloni. Riteniamo quindi scandaloso e intollerabile che l’opposizione civica che dialoga con la sinistra alimenti queste pulsioni securitarie e fasciste. Per questo motivo, come antirazzist* e solidali, saremo inflessibili e metteremo noi il #fiatosulcollo alle prossime iniziative di Dante Santoro e non solo, evitando anche che la sinistra cittadina, istituzionale e non, sia corresponsabile della diffusione di pericolose pratiche fasciste e discriminatorie in città. Invitiamo tutt* a tenere presente quanto ogni iniziativa politica legata ad un concetto astratto e classista di legalità si ripercuota nei fatti sulla pelle di chi non ha potere né voce. Invitiamo anche chi si è impegnato politicamente negli ultimi tempi assieme a Dante Santoro a tenere conto dell’inconciliabilità tra le pratiche antirazziste e quelle proposte dal politico salernitano: lanciamo piuttosto un appello affinchè si lavori assieme contro la repressione, il razzismo, l’ideologia del “decoro” che attacca le fasce sociali impoverite, il securitarismo e la violenza fascista.

alcun* antirazzist* e solidali

Otto marzo e transfemminismo queer

Ieri, otto marzo, grande mobilitazione a livello mondiale con “Non una di meno” in 51 paesi e grande successo di questo movimento su scala globale. Non sempre, però contenuti che stanno diventando patrimonio di tant* riescono ad affermarsi come e quanto vorremmo: accade troppo spesso che ogni mobilitazione venga declinata principalmente in favore dei “diritti del femminile”.

Ancora non appare chiaro che la distinzione per genere determina una divisione in categorie inutile ma funzionale unicamente alla messa in atto di processi discriminatori e normativi.

Il genere non è un semplice derivato del sesso anatomico assegnato alla nascita ma una costruzione sociale e culturale realizzata dai diversi dispositivi istituzionali: famiglia, chiesa, scuola e sistemi educativi, sistemi sanitari, ma anche mezzi di comunicazione, linguaggio, cinema, letteratura, arte.

Se dunque è davvero solo una mera costruzione senza reali ricadute nella pratica quotidiana perché si dovrebbe combattere per la sua decostruzione più che, ad esempio, per la parità di salari delle donne?

Scrive Teresa De Lauretis: “La natura discorsiva del genere non esclude che ci siano reali implicazioni, o effetti concreti, sia sociali che soggettivi, nella vita materiale delle persone. Al contrario, la realtà del genere è precisamente negli effetti della sua rappresentazione; il genere è realizzato, diventa “reale” quando quella rappresentazione è un’autorappresentazione, è assunta singolarmente come una propria forma di identità sociale e soggettiva. [“Gender identities and bad habits”, 2008].

E’ in questo modo che la stabilità metafisica del termine “donne” viene decostruita dall’utilizzo del termine “genere”, non solo a livello nominale e semantico, e finisce per erodere ogni grammatica esclusivamente femminista. Laddove si vede l’oppressione delle donne esiste in realtà un meccanismo di funzionamento di un insieme di oppressioni di genere che producono differenze non solo come binarismo (uomo/donna) ma anche differenze sessuali (omo/etero), razziali di classe, di corporeità, di abilità, di età, di specie, e ancora, e ancora, e ancora. Tutt’altro che richiamare ancora il fantasma agonizzante della donna-vittima e dell’uomo-oppressore.

E anche per questo che il richiamo continuo alle lotte femministe che furono non ha oggi nessuna efficacia. Se riconoscere alle iniziali lotte femministe una forte carica sovversiva è doveroso, è altrettanto importante riconoscere che essa è stata rapidamente riassorbita e riutilizzata dal pensiero dominante. Perché non è quindi conquistando piccoli spazi di libertà per gruppi scelti che si sottrae tutt* dal sistema capitalistico e patriarcale.

O sarà lotta transfemminista e queer o non sarà!

Il controllo popolare e i fiori tra le catene

Che cos’è il controllo popolare? Se si leggono le dichiarazioni dei militanti che stanno facendo questa esperienza politica, prevalentemente nella città di Napoli intorno al centro sociale Ex-Opg, il controllo popolare (CP) è una forma di attività e di lotta che si inserisce direttamente nella tradizione comunista: “La relazione tra i militanti e le masse popolari è tutta da ricostruire. Gli errori e le sconfitte del passato, anche quello recente, si pagano ancora. Ma i segnali oggi sono positivi. Tra l’“avanguardia” e l’“esercito”, per capirci, va ricostruito un rapporto. Dobbiamo essere capaci di non fare “fughe in avanti”, dobbiamo essere sensibili e affermare sempre la legittimità popolare delle nostre scelte. Se lavoriamo così, il rapporto non può che ricostruirsi e avanzare. Anche il CP è stata un’intuizione – che non è nostra, ma risale alla storia del movimento comunista – che restituisce un consenso popolare enorme e dimostra che c’è predisposizione a mobilitarsi, a partecipare, a uscire dall’indifferenza; ciò avviene ovviamente tra mille contraddizioni e limiti, ma noi comunisti dobbiamo sporcarci le mani e stare nelle contraddizioni, perché solo così riusciamo a cogliere la volontà di mobilitarsi che oggi il popolo dimostra. Se questa volontà non viene raccolta, la colpa non è del popolo, ma delle avanguardie. Sulla ricostruzione di un rapporto con il popolo io sono molto ottimista, forse anche grazie a quest’ultimo anno di militanza che ci è costato tanta fatica ma anche tanti successi. Si apre oggi un grande spazio politico, grazie al lavoro di tanti compagni che stanno avanzando in questa consapevolezza; ricostruiamo il rapporto tra militanti e masse popolari e… andiamo a vincere!” (fonte https://albainformazione.com/tag/controllo-popolare/).

Concretamente, per fare alcuni esempi pratici, questi militanti hanno iniziato a presidiare i seggi durante le elezioni politiche per denunciare eventuali brogli elettorali e influenze della criminalità organizzata. Successivamente, in seguito ad un’assemblea sul “Potere popolare” tenutasi a Napoli, si sono posti l’obiettivo di estendere il CP ad altre situazioni: “Vogliamo estendere il CP a tutto: dall’immigrazione alla lotta contro il lavoro nero, a quella contro gli sprechi sulle opere pubbliche – chiaramente, con un’ ottica di classe: ogni euro tolto allo spreco, deve essere impiegato per le politiche sociali in favore delle masse popolari. La prospettiva è quella di estendere sempre di più il CP, e cercare di relazionarsi con gli altri, avendo una dialettica con tutti i compagni che sono disponibili sulle questioni che riteniamo fondamentali: il CP; la questione dell’Organizzazione e quindi di uno spazio che va riempito nel nostro paese per rappresentare gli interessi dei lavoratori e degli sfruttati in generale” [ibidem].

Ma se si vogliono controllare le istituzioni dello Stato e contemporaneamente le si ritiene espressione del dominio di classe della borghesia, non si cade così in una palese contraddizione? Che senso ha controllare qualcosa che, se funzionasse “bene”, diventerebbe ancora di più uno strumento in mano al nemico delle classi popolari e degli sfruttati? Sempre nella citata intervista, la risposta a questa domanda che aleggia nell’aria è più o meno questa qui: “Non siamo così ingenui da pensare che il nostro sistema è una vera democrazia, ma pensiamo anche che certi spazi di agibilità servono, per incidere a certi livelli e far crescere la coscienza. Con questa riforma [la proposta di riforma costituzionale sconfitta al referendum del 4 dicembre 2016, NdR] si chiuderebbero una serie di spazi di agibilità, in esatta controtendenza al CP! Se noi per CP intendiamo il controllo dal basso, l’autorganizzazione, l’attribuzione di potere al popolo, dall’altro lato si sposta sempre di più il potere nelle mani del governo, che poi è il comitato d’affari di un blocco di potere borghese”.

Questa risposta non appare per nulla convincente: non si spiega in base a quale dinamica queste istituzioni del dominio, una volta controllate dal popolo (in realtà, lo si ammette pure sfacciatamente, dalla nuova “avanguardia” che si relaziona al popolo in termini di metafora militare) dovrebbero cambiare segno. In sostanza si propone la vecchia tattica della “lunga marcia nelle istituzioni”, la stessa che ha portato il Partito Comunista Italiano nel nostro paese a trasformarsi lentamente da terminale del Comintern sovietico fino a diventare il principale partito della borghesia filo-atlantica attraverso il Partito Democratico odierno.

Siccome sono stati gli stessi attivisti durante il controllo popolare dei seggi alle elezioni a richiamarsi direttamente alla “migliore” tradizione del PCI (come si poteva leggere sulla pagina Facebook dell’Ex-Opg in quei giorni), questo riferimento politico non è certo campato in aria, anzi, bisogna dire che è stato anche efficace in senso propagandistico: molte persone, appartenenti a quel cosiddetto “popolo della sinistra” italiano, hanno avuto modo di apprezzare il controllo della regolarità delle elezioni, così come molti hanno apprezzato il sostegno del CP al sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Poiché risulta complesso smascherare il carattere fallimentare e reazionario del CP nel contesto delle elezioni politiche (a chi non fa schifo il condizionamento intimidatorio della camorra nei seggi…), andiamo direttamente ad un altro settore che vorrebbe essere “controllato dal basso”, ossia quello dell’immigrazione.

Nel caso specifico gli attivisti del CP vorrebbero estendere nel settore dei “centri di accoglienza” ai migranti lo stesso controllo esercitato durante le elezioni: questi centri dovrebbero funzionare in maniera rispettosa dei diritti umani, tenendo fede alle promesse fatte ai migranti (compresa l’elargizione effettiva del misero “pocket money” quotidiano), evitando le influenze sui centri di corruzione, razzismo e spreco di denaro pubblico. Purtroppo, il sistema di “accoglienza” non è che un passaggio nel più complesso sistema di controllo statale delle persone migranti nel contesto della chiusura delle frontiere, della detenzione dei migranti e della loro deportazione. Qui insomma la contraddizione appare più scoperta: come si può esercitare potere popolare in questo contesto? Soprattutto, viene da dire, chi è il soggetto che deve esercitare questo potere: il militante politico bianco europeo comunista o il migrante che è incappato in questo sistema infernale di accoglienza-dentenzione-espulsione? Chi decide le parole d’ordine della lotta e della mobilitazione? L’avanguardia o la retroguardia?

Questo inceppo logico e politico porta a conseguenze anche tragicomiche, infatti nel contesto di assemblee e di movimenti di sostegno ai migranti abbiamo visto e sentito i militanti del CP chiedere una “centralizzazione e nazionalizzazione” del sistema di accoglienza, come se non fosse già oggi lo Stato a centralizzare nelle sue mani le vite delle persone: dal diniego del visto per l’accesso in Italia fino al viaggio sull’aereo delle Poste Italiane che li deporta in Nigeria i migranti conoscono sulla loro pelle il concetto di intervento dello Stato.

L’obiezione finale e definitiva a questa mia critica potrebbe essere la solita: sì, ma questo percorso ci avvicina alla presa del Potere, perché allarga il consenso e nel frattempo cresce l’attività delle masse che, una volta conquistato il governo dello Stato, saranno poi in grado di farlo funzionare in funzione degli interessi degli sfruttati. Questa obiezione, ahimè, è stata sconfitta non dalla teoria scritta a tavolino dagli intellettuali comunisti e rivoluzionari, ma dalla prassi e dall’esperienza storica del secolo XX. Anche sulla teoria, tuttavia, ci sarebbe da dire: non mi risulta nemmeno che la concezione di Karl Marx (nemmeno quella di Lenin in verità, forse solo quella del Gramsci interpretato da Palmiro Togliatti) fosse quella dell’impadronirsi della macchina statale per governarla poi. Tutta la critica alla socialdemocrazia (allora appena agli albori nella storia del movimento operaio) di Marx lo dimostra. Un’espressione figurativa del padre fondatore del “socialismo scientifico” ci ricorda molto bene il triste esito di tutti questi tentativi simili a quello del controllo popolare: mettere dei fiori tra le catene degli sfruttati.

Un’ultima obiezione rimane questa: all’interno di un discorso politico più ampio e precedente alla presa del potere, queste dinamiche di movimento quanto meno creano organizzazione, mobilitazione, egemonia e crescita della politica di una sinistra dal basso. Il problema però qui si pone rispetto a quelle basi teoriche e pratiche di come vogliamo costruire una società alternativa dentro questa stessa società capitalistica: cosa significa il processo di orizzontalità, chi prende le decisioni all’interno dei processi di lotta, come funzionano gli organismi di movimento e autogestione e, soprattutto e finalmente, che cosa intendiamo per contropotere, per istituzioni alternative. Se le istituzioni di contropotere che cerchiamo di costruire in questa società coincidono completamente con quelle del nostro nemico, se invece di costruire luoghi diversi e altri non facciamo che controllare che le istituzioni che ci reprimono mantengano le loro squallide promesse di un funzionamento tecnicamente ineccepibile. Se, insomma, non ci limitiamo a voler inserire in maniera pietosa e ipocrita dei fiori nelle catene dello sfruttato (ovviamente riuscendo sempre a guardare solo le catene altrui, non quelle che, magari invisibili, abbiamo noi per primi)e non abbiamo almeno il senso del sogno e della dignità di spezzarle per una buona volta, quelle catene.

Nuovi modi di fare politica

La sconfitta del movimento operaio ha coinvolto le sue organizzazioni politiche mettendo in crisi tutte le sue strutture, sia quelle riformiste e integrate nel piano capitalistico che quelle rivoluzionarie e antagoniste. Oggi  diviene sempre più complicato elaborare un percorso collettivo di  critica al capitale e di costruzione di contropotere, non solo per la repressione ma anche perché la situazione di isolamento e di atomizzazione in cui tutti/e siamo coinvolti/e ci porta inesorabilmente a vivere la militanza con difficoltà, spesso aggiungendo alienazione e senso di sconfitta alla vita quotidiana vissuta.

Pur  mutando le dinamiche e le possibilità di organizzazione e pur vivendo  un contesto completamente cambiato rispetto al terreno nel quale si sono sviluppate le esperienze di autonomia operaia, resta aperta la  questione di come resistere allo sfruttamento e alla distruzione delle vite e del pianeta. In estrema sintesi, il processo di dominio del  capitale appare ancora più pervasivo e coinvolge, plasmandole a proprio  piacimento, realtà che un tempo vivevano separate e costituivano terreni distinguibili nel processo di asservimento ma anche nei percorsi di liberazione. Per questo motivo, oggi appare impensabile una  pratica anticapitalista che non sia intersezionale, ossia allo stesso  tempo antispecista, antirazzista, contro il patriarcato, per l’ecologia  radicale etc. Tutte tematiche che sono sullo stesso piano della questione un tempo “centrale” dello sfruttamento del lavoro salariato e che compongono un piano in cui i soggetti devono immaginare la propria  liberazione a partire dalla messa in discussione della propria identità.

Costruire  un percorso di autorganizzazione, dal basso, orizzontale, sembra sempre  di più un’utopia anche all’interno dei movimenti italiani: ciascuno ha  sperimentato negli anni nella propria militanza delle testimonianze negative, con strutture informali ma allo stesso tempo rigidamente  gerarchiche, burocratiche, maschiliste e oppressive. Per questo motivo,  unitamente alla questione dell’intersezionalità, si pone il problema di  costruire una soggettività politica che faccia i conti con questa nevrosi identitaria, pensando delle strutture effettivamente aperte alla  espressione di ciascuna/o di noi, luoghi dentro i quali si possa  esprimere prima una pratica positiva e poi si possa mettere in  discussione, smontare, criticare la figura del militante maschio-bianco-lavoratore-occidentale che detta la linea e pone la questione della  conquista del potere statale. 

Costruire  laboratori su temi specifici di intervento politico e sociale, assemblee aperte all’esterno, pensare un conflitto sostenibile anche da  parte di chi non rientra nelle categorie del militante classicamente inquadrato in un’ideologia: tutto ciò pensato con la priorità di moltiplicare le occasioni di conflitto diffondendo e aprendo nuovi percorsi e non perpetuando la propria organizzazione. Un gruppo di  affinità oggi dovrebbe basarsi innanzitutto sulla messa in discussione permanente della propria identità così come delle pratiche politiche che decide di intraprendere.

 

Presentazione

Meta  Lab è un laboratorio aperto di teorie e pratiche per l’autodeterminazione. Il nome viene dal greco e va inteso sia come “al di là”, oltre e attraverso che come sinonimo e abbreviativo di “metamorfosi”, cambiamento radicale, trasformazione del corpo. 

L’origine antica della parola viene dal sanscrito mìthu o mìtha e significa “legare l’uno all’altro”.

Viviamo immersi in suddivisioni normative che riproducono quotidianamente e incessantemente oppressioni e gerarchie: maschio/femmina, bianco/nero, eterosessuale/omosessuale, stanziale/migrante, normale/anormale, sano/malato, proprietario/non proprietario, lavoratore cognitivo/operaio di fabbrica, carnivoro/vegan, abile/non abile, adulto/bambino, umano/non umano. Come laboratorio aperto, facendo nostro il concetto di intersezionalità e partendo dal riconoscimento delle molteplici forme di oppressione esistenti, vorremmo mettere in atto la decostruzione di tutto ciò che costituisce le dicotomie gerarchizzanti.

Il laboratorio è teorico e pratico, in divenire; aperto alla partecipazione di tutt*, si fonda sul criterio dell’orizzontalità e della continua messa in discussione delle identità singolari e collettive. 

metalab2017@protonmail.com